Concilio precedente: Concilio di Arles (?)
Concilio successivo: Concilio di Costantinopoli I
Convocato da: Imperatore
Costantino I
Presieduto da Imperatore
Costantino I
Partecipanti: circa 300
Argomenti: Divinità di Cristo Gesù, consustanzialità tra il Padre e
il Figlio, Arianesimo, Documenti e pronunciamenti, Simbolo Niceno.
Gruppi scismatici: Ariani, Meleziani, Novaziani
Il concilio di Nicea, tenutosi nel 325, è
stato il primo concilio ecumenico[1] del mondo cristiano, secondo la prassi del
Concilio di Gerusalemme di età apostolica.
Il concilio fu convocato e presieduto
dall'imperatore Costantino I, il quale intendeva ristabilire la pace religiosa
e costruire l'unità della chiesa, minata dalle aspre dispute tra cristiani;
l'intento era anche politico, dal momento che se tali dispute non fossero state
risolte, avrebbero dato un ulteriore impulso centrifugo all'impero, in una fase
in cui esso si trovava sulla via della disgregazione. Con queste premesse, in
un clima di grande tensione, il concilio ebbe inizio il 20 maggio del 325; i partecipanti
provenivano in maggioranza dalla parte orientale dell'Impero.
Indice
1 Introduzione
2 Organizzazione del concilio
3 Decisioni del Concilio
3.1 Il credo niceno: differenze e
similitudini con il credo cattolico
3.2 Dichiarazione dell'homooùsios
3.3 Determinazione della data della
Pasqua
3.4 Sull'eresia di Melezio
3.5 Il battesimo degli eretici
3.6 Sulla persecuzione di Licinio
4 Altre questioni
5 Effetti del concilio
6 Giudizi storici
6.1 Della distinzione tra libri
ispirati e apocrifi
7 Nella narrativa contemporanea
8 Note
9 Fonti primarie
10 Fonti secondarie
11 Collegamenti esterni
12 Altri progetti
Introduzione
Lo scopo del concilio era quello di rimuovere le divergenze nella
Chiesa di Alessandria e stabilire la natura di Cristo in relazione al Padre; in
particolare, stabilire se il Figlio fosse della stessa ousìa, o sostanza del
Padre. Questo in quanto il Sinodo di Alessandria del 321, convocato da
Alessandro, vescovo di Alessandria, pur concludendosi con la scomunica del
presbitero Ario, non ne aveva fermato la sua attività propagandistica. Infatti
Ario, rifugiatosi in Palestina presso il suo antico compagno di scuola,
l'influente Eusebio di Nicomedia, creò un centro per l'arianesimo.
Un'ulteriore decisione del concilio fu stabilire una data per la
Pasqua, la festa principale della cristianità. Il concilio stabilì che la
Pasqua si festeggiasse la prima domenica dopo il plenilunio successivo
all'equinozio di primavera, in modo quindi indipendente dalla Pasqua ebraica,
stabilita in base al calendario ebraico. Il Vescovo di Alessandria
(probabilmente usando il calendario copto) avrebbe d'allora in avanti stabilito
la data e l'avrebbe poi comunicata agli altri vescovi.
Con il Concilio Costantino auspicava che fosse chiarito, una volta
per tutte, un dogma (verità di fede) riguardo a una diatriba sorta in un primo
momento intorno a una questione cristologica, ma le cui conseguenti lacerazioni
teologiche avevano effetto anche sulla pace dell'impero, di cui egli si
riteneva il custode. Siccome la disputa ariana nacque e coinvolse le chiese
d'Oriente, di lingua greca, la rappresentanza latina al concilio fu ridotta: il
papa Silvestro fu rappresentato da due preti (questa prassi divenne costante
anche nei concili successivi). Più in generale, i 318 ecclesiastici presenti
(il numero non è certo) erano tutti orientali tranne cinque: Marco di Calabria
dall'Italia, Cecilio di Cartagine dall'Africa, Osio di Cordova dalla Spagna,
Nicasio di Digione dalla Gallia, Domno di Stridone dalla provincia danubiana.
Il Concilio si svolse nel palazzo imperiale dal 19 giugno al 25
luglio del 325[2] e gli ecclesiastici furono spesati nel viaggio come se
fossero stati funzionari di stato. Il documento conclusivo venne firmato prima
dal rappresentante imperiale Osio di Cordova, e poi dai rappresentanti del
papa. Nonostante la presenza di Ario e soprattutto di Eusebio di Nicomedia[3],
la maggioranza fu contraria alle loro idee. Infatti il comportamento dei due,
per nulla conciliante, indispose la fazione moderata che votò contro di loro.
Il clima conciliare niceno fu a dir poco turbolento; il dibattito sulle tesi di
Ario degenerò a tal punto che San Nicola di Bari prese a schiaffi
l'eresiarca.[4]
Organizzazione del
concilio
Costantino invitò tutti i 1800 vescovi della Chiesa cristiana (circa
1000 in Oriente e 800 in Occidente). Tuttavia, solo da 250 a 320 vescovi furono
in grado di partecipare. Riguardo al numero esatto di partecipanti, le fonti
coeve non sono concordi: secondo Eusebio di Nicomedia erano 250; Eustazio di
Antiochia, citato da Teodoro, ne cita 270; sant'Atanasio, nelle sue Epistole ai
Solitati, parla di 300 (come Costantino), anche se nella lettera agli Africani,
racconta di 318 [5]. Essendo stati dei testimoni oculari, sono tutti degni di
fede.
Il numero di 318, che il papa san Leone definisce misterioso, è stato
poi adottato dalla maggioranza di Padri della Chiesa. Ad esempio, Sant'Ambrogio
spiegava che tale numero dava la dimostrazione della presenza del Signore Gesù
nel Concilio, in quanto la croce ne indicava 300, mentre il nome di Gesù 18.
Sant'Ilario, difendendo il termine "consustanziale" - approvato nel
Concilio, anche se condannato 55 anni prima dal Sinodo di Antiochia - spiegava
che:
«80 vescovi rigettarono il
termine consustanziale, ma 318 l'hanno approvato. Quest'ultimo numero è per me
santo, poiché è quello degli uomini che accompagnarono Abramo, quando,
vittorioso dei re empi, venne benedetto da colui che è il sacerdote eterno
».
Infine Selden racconta che Doroteo, metropolita di Monemvasia,
diceva che il numero di padri conciliari era esattamente di 318, dato che erano
passati esattamente 318 anni dall'incarnazione (tutti i cronologisti datano il
concilio nel 325 dell'era volgare, ma Doroteo lo anticipa di 7 anni perché il
suo ragionamento funzioni); d'altronde solo con il concilio di Lestina, nel
743, si iniziarono a contare gli anni a partire dall'incarnazione di Gesù.
A causa delle riserve espresse sulla dottrina dell'homooùsion da
Eusebio di Nicomedia e da Teognis di Nicea, entrambi, pur avendo firmato gli
atti, vennero esiliati in Gallia tre mesi dopo. Infatti, avendo i due ripreso a
predicare che il Figlio non era consustanziale al Padre, si disse che avevano
guadagnato alla loro causa il custode degli atti del concilio nominato
dall'imperatore per cancellarne le proprie firme. A quel punto venne pensato di
ristabilire il numero misterioso di 318 partecipanti, mettendo gli atti del
concilio distinti per sessione sulle tombe di Crisanzio e di Misonio, morti
durante lo svolgimento del concilio; all'indomani, dopo aver passato la notte
in orazioni, si scoprì che i due vescovi avevano firmato.
Decisioni del Concilio
Costantino condanna al rogo i libri degli ariani: manoscritto
dell'Archivio capitolare di Vercelli (IX secolo)
Le decisioni prese dal concilio con un'amplissima maggioranza - solo
Teona di Marmarica e Secondo di Tolemaide votarono contro - furono
essenzialmente tre:
1.
su proposta di Eusebio di
Cesarea si arrivò a una dichiarazione di fede [6], che ricevette il nome di
Simbolo niceno o credo niceno. Il simbolo, che rappresenta ancora oggi un punto
centrale delle celebrazioni cristiane, stabilì esplicitamente la dottrina
dell'homooùsion, cioè della consustanzialità del Padre e del Figlio: nega che
il Figlio sia creato (genitum, non factum), e che la sua esistenza sia
posteriore al Padre (ante omnia saecula). In questo modo, l'arianesimo viene
negato in tutti i suoi aspetti. Inoltre, viene ribadita l'incarnazione, morte e
resurrezione di Cristo, in contrasto alle dottrine gnostiche che arrivavano a
negare la crocifissione.
2.
venne dichiarata ufficialmente la nascita
virginale di Gesù, definita nel simbolo niceno: Gesù nacque da Maria Vergine.
In realtà la nascita verginale di Gesù era già affermata nel vangelo di Matteo,
pertanto nel simbolo niceno essa venne solo ribadita.
3.
fu condannata come eretica la
dottrina cristologica elaborata da Ario (arianesimo), che sosteneva che Gesù
non avesse natura divina come il Padre.
Altre decisioni erano invece di carattere non solo dottrinale ma
anche disciplinare, e riguardavano la posizione da tenere in particolare
rispetto agli eretici e a coloro che avevano rinnegato il cristianesimo, e
cioè:
·
furono dichiarate eretiche le
dottrine del vescovo Melezio di Licopoli.
·
furono stabilite delle regole
sul battesimo degli eretici.
·
si presero delle decisioni su coloro che
avevano rinnegato il cristianesimo durante la persecuzione di Licinio, cioè i
cosiddetti lapsi.
L'imperatore fece trasmettere le decisioni del concilio a tutti i
vescovi cristiani esortandoli ad accettarle, sotto la minaccia dell'esilio.
Alla fine del concilio vennero stabiliti i seguenti canoni (cioè,
"regole"):
1. proibizione dell'auto-castrazione; (vedi Origene) [7]
2. definizione di un termine minimo per la ammissione dei neo-catecumeni
nella Chiesa;[8]
3. proibizione della presenza di donne nella casa di un chierico (le
cosiddette virgines (o mulieres) subintroductae;[9]
4. ordinazione di un vescovo in presenza di almeno tre vescovi della
provincia, subordinata alla conferma da parte del vescovo metropolita;[10]
5. sugli scomunicati, e sull'obbligo di tenere almeno due sinodi
all'anno in ciascuna provincia;[11]
6. preminenza dei Vescovi di Roma e Alessandria;[12]
7. riconoscimento di particolare onore per il vescovo di
Gerusalemme;[13]
8. riconoscimento dei Novaziani;[14]
9–14. provvedimento di clemenza verso coloro che hanno rinnegato il
Cristianesimo durante la persecuzione di Licinio;[15]-[16]
15–16. proibizione di trasferimento di presbiteri e vescovi dalle loro
città;[17]-[18]
17. proibizione dell'usura fra i chierici;[19]
18. precedenza di vescovi e presbiteri sui diaconi nel ricevere
l'Eucaristia;[20]
19. dichiarazione dell'invalidità del
battesimo ordinato da Paolo di Samosata (vedi eresia adozionista);
dichiarazione che le donne diacono sono da considerarsi come i laici;[21]
20. proibizione di inginocchiarsi durante la liturgia della domenica e nei
giorni pasquali, fino alla Pentecoste.[22]
Il 25 luglio 325
il Concilio si concluse e i Padri convenuti celebrarono il ventesimo
anniversario di regno dell'imperatore. Nel suo discorso conclusivo, Costantino
confermò la sua preoccupazione per le controversie cristologiche e sottolineò
la sua volontà che la Chiesa vivesse in armonia e pace. In una lettera fatta
circolare nella prima festa della Pasqua, annunciò la raggiunta unità di fatto
dell'intera Chiesa.
Il credo niceno:
differenze e similitudini con il credo cattolico
Icona russa che
raffigura Costantino fra i Padri conciliari al primo Concilio di Nicea: il
rotolo contiene il testo del Simbolo niceno-costantinopolitano.
Sin dai primi
tempi in cui il cristianesimo si tramandava solo oralmente, vari tipi di Credo
erano segni distintivi di una comunità[senza fonte]: a Roma, per esempio, era
popolarissimo il Credo detto "degli apostoli", soprattutto durante la
Quaresima e nella liturgia di Pasqua. Al Concilio di Nicea persino Ario avrebbe
potuto citare il suo credo. Ma per Alessandro di Alessandria, e i suoi
sostenitori, occorreva maggiore chiarezza. La sua opinione alla fine prevalse.
Il Concilio, infatti, adottò un credo specifico per stabilire in modo chiaro la
fede di tutta la Chiesa, includendo coloro che la professavano ed escludendo
gli altri.
Alcuni elementi
distintivi del credo niceno furono probabilmente aggiunti da Osio di
Cordova[senza fonte], e cioè:
Dio è uno solo: è il primo articolo del
credo niceno: Credo in unum Deum (Credo in un solo Dio).
Cristo è descritto come Deum de Deo, lumen
de lumine (Dio da Dio, luce da luce), confermando la sua divinità. In un'epoca
in cui tutte le sorgenti di luce erano naturali, l'essenza della luce era da
considerarsi identica, indipendente dalla sua forma estrinseca. È singolare che
un ragionamento del genere fosse usato dagli eretici modalisti, che erano stati
condannati dal Sinodo di Antiochia nel 264-268.[senza fonte]
Gesù Cristo è affermato essere genitum, non
factum (generato, non creato), in opposizione diretta con l'arianesimo.
La dottrina dell'homooùsion (vedi più
sotto) viene sancita esplicitamente (in latino, consustantialem Patri). Alcuni
ascrivono questo termine a Costantino stesso,[senza fonte] il quale, su questo
punto in particolare, potrebbe avere scelto di manifestare chiaramente la sua
volontà.
Del terzo
articolo di fede, solo le parole et in Spiritum Sanctum ([Credo] nello Spirito
Santo) erano presenti[senza fonte]: il credo niceno finiva con queste parole ed
era immediatamente seguito dai 20 canoni del concilio. Quindi, invece di un
credo battesimale che poteva essere accettato sia dagli ortodossi, sia dagli
Ariani (come proposto da Eusebio), il concilio ne promulgò uno che era
chiarissimo nei termini di contesa fra le due parti e quindi era totalmente
incompatibile con la posizione degli Ariani.
Il ruolo del
vescovo Osio di Cordova, uno dei primi sostenitori dell'homooùsion, fu probabilmente
decisivo nel portare il concilio a un consenso. Al tempo del concilio, egli era
il primo consigliere dell'imperatore bizantino sulle questioni ecclesiastiche.
Osio è presente come primo della lista dei vescovi e Atanasio attribuisce a lui
la formulazione attuale del Credo. I Padri che più difesero la dottrina
dell'homooùsion furono Eustazio di Antiochia, Alessandro di Alessandria,
Atanasio e Marcello di Ancira.
Nonostante la
simpatia personale per Ario[senza fonte], Eusebio di Cesarea aderì alla decisione
del concilio, accettando il credo come era stato formulato. La dottrina nicena
fu ratificata da Costantino e l'imperatore affermò che chiunque si fosse
opposto alle decisioni del concilio avrebbe dovuto prepararsi a prendere
immediatamente la via dell'esilio. A causa delle riserve espresse da Eusebio di
Nicomedia e da Teognis di Nicea, e della frode che secondo Costantino
perpetrarono (nella parola originariamente concordata homoùsios inserirono una
iota che cambiò la parola in homoioùsios, cioè di "simile sostanza",
in luogo del significato originario di "medesima sostanza") essi, pur
avendo avallato le decisioni conciliari, vennero esiliati in Gallia tre mesi
dopo. Ario fu messo al bando in una remota provincia dell'Illirico, la sua
persona e i suoi discepoli furono bollati dalla legge con il nome di porfiriani
[23], i suoi scritti furono condannati alle fiamme e contro chiunque ne fosse
stato trovato in possesso fu comminata la pena capitale.
Dichiarazione
dell'homooùsios
Battesimo di
Cristo, mosaico sul soffitto del Battistero degli Ariani a Ravenna (prima metà
del VI secolo)
La controversia
ariana era una controversia cristologica che cominciò ad Alessandria d'Egitto
fra i seguaci di Ario e i seguaci di Alessandro, vescovo di Alessandria. Mentre
questi ultimi credevano che il Figlio fosse uguale al Padre in quanto alla
divinità, cioè composto della stessa sostanza (nel senso aristotelico del
termine), gli ariani credevano che Padre e Figlio fossero due distinti esseri
divini: in particolare, il Figlio, pur essendo perfetto come creatura, era pur
sempre creato dal Padre.
Gran parte della
disputa riguardava la differenza fra l'essere "nato" o
"creato" e l'essere "generato" dal Padre. Gli ariani
dicevano che i due concetti erano la stessa cosa, i seguaci di Alessandro no.
In effetti, molti dei termini usati nel concilio di Nicea erano abbastanza
oscuri per coloro che non parlavano il greco; le parole del greco koinè, come
"essenza" (ousìa), "sostanza" (ipostasi), "natura"
(physis), "persona" (prosopon) contenevano una varietà di significati
che venivano direttamente desunti dai filosofi pre-cristiani e che non potevano
che introdurre gravi incomprensioni se non spiegati adeguatamente. La parola
homooùsion (= della stessa essenza) in particolare, che tra l'altro viene
approssimativamente tradotta nel latino del Credo con consubstantialem, fu
inizialmente poco apprezzata dai vescovi convenuti, per la sua vicinanza
formale con gli eretici gnostici, che ne facevano uso abbondante nella loro
teologia. In particolare, il termine stesso homooùsion era stato proibito dal
Sinodo di Antiochia nel 264-268, per l'interpretazione sabelliana della
Trinità, nota anche come modalismo.
I seguaci
dell'homooùsion credevano che seguire l'eresia ariana significasse spezzare
l'unità della natura divina, e rendere il Figlio ineguale al Padre, in palese
contrasto con le Scritture («Io e il Padre siamo una cosa sola», Gv 10,30). Gli
ariani, dal canto loro, credevano che, siccome il Padre ha creato il Figlio, il
Figlio deve essere stato emanato dal Padre, e quindi essere meno del Padre, in
quanto il Padre è eterno, ma il Figlio è stato creato dopo di lui, e, quindi,
non è eterno (nel senso che Aristotele dà all'infinito, per es. nel De Coelo).
Anche gli ariani citavano le Scritture, per esempio citando Gv 14,28: «Avete
udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che
io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me.»
I seguaci
dell'homooùsion rispondevano dicendo che la paternità di Dio, come tutti i suoi
attributi, è eterna: il Padre è sempre stato Padre, e quindi il Figlio è
rimasto sempre Figlio, anche prima di esistere. Il Concilio decretò alla fine
il trionfo dell'homooùsion, cioè che il Padre e il Figlio sono della stessa
sostanza e sono co-eterni: i padri conciliari basarono questa dichiarazione
sulla autorità apostolica e sulla tradizione cristiana. La formulazione finale
di questo dogma si ritrova nel Credo Niceno.
Determinazione
della data della Pasqua
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Per approfondire, vedi Calcolo della
Pasqua e Quartodecimani.
L'Agnello,
mosaico nell'interno della cupola della basilica di San Vitale, Ravenna.
La festa della
Pasqua è legata alla Pasqua ebraica, in quanto la crocifissione e risurrezione
di Gesù avvennero durante questa festa. Intorno al 300, molte delle Chiese
avevano adottato il costume occidentale di celebrare la festa la domenica dopo
la Pasqua ebraica, per enfatizzare la resurrezione, che avvenne secondo i
vangeli di domenica. Altri invece celebravano la Pasqua il 14 del mese di
Nisan, la data della crocefissione secondo il calendario ebraico della Bibbia
(23,5,19,14).
Questo gruppo
veniva chiamato dei Quartodecimani. Le Chiese orientali di Siria, Cilicia e
Mesopotamia determinavano la data della Pasqua a partire dal calendario
ebraico; Alessandria e Roma invece seguivano un calcolo differente, attribuito
a papa Sotero, in modo tale che la Pasqua cristiana non coincidesse mai con la
Pasqua ebraica, e decisero di fissarla alla prima domenica dopo il plenilunio
successivo all'equinozio di primavera. Secondo Duchesne[24], che fonda le sue
conclusioni sui seguenti documenti:
la lettera conciliare di Teodoreto di Cirro
agli Alessandrini;[25]
nella lettera circolare di Costantino ai
vescovi alla conclusione del concilio;[26]
su Atanasio;[27]
Sant'Epifanio di
Salamina scrisse alla metà del IV secolo che[28]:
« ... l'imperatore
... convocò un concilio di 318 vescovi ... nella città di Nicea. ... Essi
approvarono alcuni canoni ecclesiastici durante il concilio, e inoltre
decretarono riguardo alla Pasqua ebraica che ci dovesse essere un accordo
unanime sulla celebrazione del santo e supremo giorno di Dio. »
Il concilio si
assunse il compito di regolare queste differenze, in parte anche perché in
alcune diocesi era proibito fare coincidere la Pasqua ebraica con la Pasqua
cristiana.
«Fu stabilito di
celebrare ovunque la festa della resurrezione di domenica, e di non farla
coincidere con la Pasqua ebraica, cioè sempre dopo il 14 di Nisan, la domenica
dopo il plenilunio di primavera. Il motivo principale di questa decisione era
l'opposizione al giudaismo, che aveva disonorato la Pasqua con la crocefissione
del Signore.»[29] Eusebio di Cesarea scrive che Costantino si espresse con
queste parole:[30]
« ... sembrava
una cosa indegna che nella celebrazione di questa santissima festa si dovesse
seguire la pratica dei Giudei, che hanno insozzato le loro mani con un peccato
enorme, e sono stati giustamente puniti con la cecità delle loro anime. ...È
bene non avere nulla in comune con la detestabile cricca dei Giudei; in quanto
abbiamo ricevuto dal Salvatore una parte diversa. »
Teodoreto di
Cirro riporta queste parole dell'imperatore[31]:
« Fu prima di
tutto dichiarato improprio il seguire i costumi dei Giudei nella celebrazione
della santa Pasqua, perché, a causa del fatto che le loro mani erano state
macchiate dal crimine, le menti di questi uomini maledetti erano
necessariamente accecate. ... Non abbiamo nulla in comune con i Giudei, che
sono i nostri avversari. ... evitando ogni contatto con quella parte malvagia.
... le cui menti, dopo avere tramato la morte del Signore, fuori di sé, non
sono guidate da una sana ragione, ma sono spinte da una passione irrefrenabile
ovunque la loro follia innata le porti. ... un popolo così completamente
depravato. ...Quindi, questa irregolarità va corretta, in modo da non avere
nulla in comune con quei parricidi e con gli assassini del nostro Signore. ...
neanche un solo punto in comune con quegli spergiuri dei Giudei. »
Il Concilio di
Nicea, dunque, contrariamente a quanto entrò poi nella letteratura successiva,
dall'epoca di Dionigi il Piccolo in poi[32], non stabilì alcun criterio
oggettivo per il calcolo della Pasqua, tranne uno solo: che la Pasqua non
potesse essere celebrata il 14 di Nisan, anche se quest'ultimo fosse stato una
domenica. In particolare, il concilio non dichiarò i calcoli alessandrini o
romani come obbligatori. Invece, il concilio diede al Vescovo di Alessandria il
privilegio di annunciare annualmente la data della Pasqua cristiana alla Curia
romana. Benché il Concilio avesse intrapreso il compito di dare una data alla
Pasqua, si accontentò alla fine di comunicare la sua decisione alle differenti
diocesi, invece di stabilire un canone. Questo aprì le controversie successive
sulla determinazione della data di Pasqua.
Sull'eresia di
Melezio
La soppressione
dell'eresia meleziana fu una delle tre importanti questioni di ordine interno
alla Chiesa che accompagnarono le decisioni teologiche del Concilio di Nicea.
Melezio fu deposto per varie ragioni, fra cui quella di offrire sacrifici agli
idoli e di ordinare sacerdoti al di fuori della sua diocesi (il che era
proibito fin quasi dall'inizio del cristianesimo). Gli scarsi riferimenti di
Sant'Atanasio erano le uniche informazioni su di lui, fino a che nel XVIII
secolo l'archeologo Scipione Maffei scoprì un manoscritto che riguardava l'eresia
meleziana in Egitto. Da questi documenti, e da quelli di Atanasio si deduce che
l'eresia meleziana incominciò intorno al 304-305, cioè ai tempi della
persecuzione di Diocleziano. Sant'Atanasio dice che «...i Meleziani divennero
scismatici cinquantacinque anni fa, mentre quelli [gli Ariani] vennero
dichiarati eretici trentasei anni fa»[33]. Poiché si può ritenere che gli
ariani venissero dichiarati eretici nel Concilio di Nicea nel 325, a ritroso si
può calcolare che i meleziani divenissero scismatici nel 306.
Al Concilio si
decise che Melezio dovesse rimanere nella sua città di Licopoli, ma senza
potere ordinare nuovi preti; gli fu inoltre vietato di viaggiare nei dintorni
della città, o entrare in un'altra diocesi per consacrare nuovi sacerdoti. Melezio
mantenne il titolo episcopale, ma gli ecclesiastici che erano stati ordinati da
lui dovevano ricevere di nuovo l'imposizione delle mani, in quanto le
ordinazioni fatte da Melezio non erano da considerarsi valide. Il clero
consacrato da Melezio doveva dare la precedenza a quello ordinato da
Alessandro, e non poteva prendere nessun provvedimento se non previo consenso
del vescovo Alessandro.[34]
Nel caso di
morte di un vescovo o un presbitero non-meleziano, il soglio vacante avrebbe
potuto essere assegnato a un meleziano, purché ne fosse degno, e l'elezione
popolare venisse confermata da Alessandro. Per quanto riguardava lo stesso
Melezio, le prerogative e i diritti episcopali gli furono negati. Questi
provvedimenti blandi furono tuttavia inutili; i meleziani si unirono agli
ariani e causarono dissensi ancora più gravi[35], diventando nemici implacabili
di Atanasio, sotto il regno di Costanzo II, successore e nipote di Costantino,
che era notoriamente un protettore degli Ariani. L'eresia meleziana venne meno
comunque intorno alla metà del V secolo.
Il battesimo
degli eretici
Infine il concilio promulgò 20 nuove leggi
ecclesiastiche, chiamate canoni (sebbene il numero esatto sia oggetto di
dibattito [36]), cioè, regole immutabili intese a disciplinare qualcosa. I 20
canoni sono elencati nella Patristica relativa a Nicene e successivamente ad
essa, nel modo seguente:[37]
Effetti
del concilio
Gli effetti a
lungo termine del concilio di Nicea furono significativi. Per la prima volta,
rappresentanti di tutti i vescovi della Chiesa furono concordi su un tema di
dottrina, pena esilio e morte. Sempre per la prima volta, l'Imperatore (che non
era ancora cristiano) svolse un ruolo attivo, convocando insieme i vescovi
sotto la sua autorità e usando il potere dello Stato per dar seguito alle
disposizioni conciliari (compreso il rendere esecutive le condanne all'esilio e
simili). Questo fu l'inizio del cosiddetto cesaropapismo: un coinvolgimento di
Chiesa e Stato che seguiterà fino ai nostri giorni ad essere oggetto di
dibattito. A breve termine tuttavia, il concilio non risolse del tutto i problemi
per cui era stato convocato.
Gli ariani e i
meleziani quasi subito riguadagnarono pressoché tutti i diritti che avevano
perduto e l'Arianesimo continuò a propagarsi malgrado le forti pene repressive
e a causare divisioni nella Chiesa per tutto il rimanente IV secolo. Quasi
immediatamente Eusebio di Nicomedia usò la sua influenza a corte per
guadagnarsi il favore di Costantino, spostandolo dai vescovi ortodossi di Nicea
agli Ariani. Eustazio di Antiochia fu deposto ed esiliato nel 330. Atanasio, che
era succeduto ad Alessandro come vescovo di Alessandria, fu deposto dal primo
sinodo di Tiro nel 335 e Marcello di Ancira lo seguì nel 336. Ario stesso tornò
a Costantinopoli per essere riaccolto nella Chiesa, ma morì poco prima che ciò
potesse accadere. Costantino morì l'anno dopo, secondo la leggenda, avere
finalmente ricevuto il battesimo da un vescovo ariano [38].
Giudizi storici
Nel corso del
XVIII secolo, l'atteggiamento di alcuni illuministi nei confronti del concilio
di Nicea fu improntato su posizioni critiche, evidenziando gli aspetti politici
e sociali che accompagnarono il primo dei concili ecumenici. Notevole è la
discussione che fa Edward Gibbon del Concilio nella sua monumentale opera
Decline and Fall of the Roman Empire[39]. In particolare, Gibbon evidenzia le
necessità politiche di mantenimento dell'unità dell'Impero, che spinsero
Costantino a convocare il concilio. Gibbon non fa mistero del provvedimento di
esilio da parte imperiale: «la dottrina
nicena fu ratificata da Costantino, e quando l'imperatore affermò risolutamente
che chiunque si fosse opposto al giudizio divino del concilio avrebbe dovuto
prepararsi a prendere immediatamente la via dell'esilio, tacquero i mormorii di
protesta di una fiacca opposizione, che da diciassette vescovi si ridusse quasi
istantaneamente a due.»
Su posizioni più
caustiche si situa Voltaire, che nel suo Dictionnaire philosophique dedica la
voce "Concili" a una succinta storia dei concili ecumenici[40].
Voltaire indica l'attore primo della convocazione del concilio in Costantino,
il quale desiderava che le "frivole" dispute teologiche non
costituissero uno scandalo o, peggio, occasioni di dissidio nel popolo[41].
Voltaire ritiene che tali dispute avessero poco a che fare con il messaggio principale
dei Vangeli, e con la moralità che normalmente si chiede da una persona
dabbene.
L'aneddoto
citato da Voltaire è da lui riportato per affermare che i concili sono fatti
dagli uomini e che quindi sono il frutto naturale delle passioni umane e delle
circostanze storiche:
« Tutti i concili sono infallibili, senza
alcun dubbio: se non altro perché sono fatti dagli uomini. È cosa impossibile
che in alcun modo le passioni, gli intrighi, lo spirito polemico, l'odio, la
gelosia, il pregiudizio, l’ignoranza, regnino in tali consessi. Ma perché, ci
si potrebbe chiedere, tanti concili si sono opposti gli uni agli altri? È
successo per esercitare la nostra fede; essi, ciascuno nel proprio tempo, hanno
sempre avuto ragione. Non si crede oggi, presso i cattolici romani, che ai
concili approvati dal Vaticano; e non si crede oggi, presso i cattolici greci,
che a quelli approvati in Costantinopoli. I protestanti si burlano sia dei
primi che dei secondi; in tal modo tutti devono dichiararsi contenti. » (Voltaire.
Dictionnaire philosophique, voce Conciles).
Infatti in una
missiva San Gregorio Nazianzeno (che in qualità di Vescovo di Costantinopoli,
presiedette per poco tempo il concilio di Costantinopoli) scrivendo a Procopio
ebbe a dire al riguardo:
« Temo i concili, non ne ho mai visto alcuno
che non abbia fatto più male che bene, e che abbia avuto una buona riuscita: lo
spirito polemico, la vanità, l’ambizione vi dominano; colui che vuole riformare
i maliziosi si espone a essere a sua volta accusato senza averli corretti »
Della distinzione tra libri ispirati e apocrifi
Voltaire amava
giocare fra serietà e l'ironia; relativamente al concilio di Nicea cita ad
esempio l'episodio che sarebbe avvenuto della distinzione fra libri apocrifi e
ispirati
« I Padri del Concilio distinsero tra libri
delle Scritture e apocrifi grazie a un espediente piuttosto bizzarro: avendoli
collocati alla rinfusa sull'altare vennero detti apocrifi quelli che caddero in
terra.». Secondo Andrew Hunwick:
«Il problema della distinzione tra vangeli
spuri e autentici non è stato discusso nel primo concilio di Nicea: l'aneddoto
è inventato. Compare nel testo clandestino La Religione Cristiana Analizzata
(in francese nell'originale, La Religion chretienne analysée) attribuito a César
Chesneau Dumarsais, e pubblicato da Voltaire in forma ridotta in Raccolte
Essenziali (Recueil necessaire) nel 1765, dove è indicata come fonte
Sanctissima concilia (1671-1672, Parigi, vol II, pp 84-85) di Pierre Labbe
(1607-1667), che afferma di seguire gli anni 325 § 158 degli Annales
ecclesiasti (1559-1607) di Baronio (1538-1607), anche se si deve notare che
Baronio, riportando dell'adozione di certi vangeli e del rifiuto di altri come
spuri, non riporta in che modo fu fatta la distinzione.Voltaire ripete
l'aneddoto romanzesco più volte, citando Labbe come fonte, si veda B. E.
Schwarzbach, p. 329 e n. 81. Dubbi furono espressi in precedenza, da
Louis-Sébastien Le Nain de Tillemont (si veda L. S. Le Nain de Tillemont,
Memorie per la storia della Chiesa [Memoires pour servir a l'histoire
ecclesiastique], 1701-14, seconda edizione, Parigi, Robustel - Arsenal 4°
H.5547, volume VI, p. 676.) Nei fatti l'aneddoto data Baronio più di sei secoli
prima della sua nascita: compare in un anonimo Synodikon contenente brevi
citazione di 158 concili dei primi nove secoli. Portato dalla Grecia nel XVI
secolo da Andreas Darmasius, questo documento fu acquistato ed edito dal
teologo luterano Johannes Pappus (1549-1610). Fu successivamente ristampato,
certamente almeno nella Bibliotheca graeca [...] di Fabricio, la prima di
queste edizioni fu pubblicata negli anni 1705-1707, e potrebbe essere stata
conosciuta da D'Holbach. L'aneddoto si trova in Synodicon vetus sezione 34,
"Council of Nicaea" (Johann Albert Fabricius, Biblioteca graeca…
[1790-1809, Amburgo: Bohn], Volume XII, pagine 370-371.)» (Andrew Hunwick, edizione critica di
Ecce Homo di Baron D'Holbach[42])
La citazione di
Voltaire riguarda un testo denominato Synodicon Vetus del 887[43] che racconta
dei concili e che aggiunge alcune informazioni (spesso considerate spurie)
rispetto ai testi degli storici della chiesa. Restando alla citazione
l'autenticità dell'episodio è dubbia in quanto comparendo solamente nel
Synodicon non è possibile determinare con certezza se è una invenzione o se
risale a un'antica tradizione alla quale l'autore aveva accesso.
Nella narrativa
contemporanea
Il primo
concilio ha assunto una certa notorietà nel 2003, grazie al romanzo di Dan
Brown Il codice da Vinci. Nel romanzo si sostiene che «...fino a quel momento,
Gesù era visto come un profeta mortale dai suoi seguaci ...un grande e potente
uomo, ma sempre un uomo. Un mortale. La sua definizione come "il figlio di
Dio" fu ufficialmente proposta e votata al concilio di Nicea.» Il romanzo
afferma quindi che la divinità di Gesù è stata ottenuta dopo una votazione al
concilio, con un margine stretto, e che Costantino avrebbe condizionato il voto
per consolidare il suo potere.
In realtà le
affermazioni del romanzo non sono storicamente sostenibili, in quanto la
divinità di Gesù è affermata da Lui stesso, dagli Apostoli subito dopo la sua
morte e risurrezione, durante la loro predicazione, e quindi dai primi
scrittori cristiani. Anche uno storico latino come Plinio il Giovane, parlando
dei cristiani in una sua celebre lettera all'imperatore Traiano, dell'inizio
del II secolo, quindi di due secoli precedente all'assise di Nicea, afferma che
i cristiani «...cantano un inno a Cristo come ad un dio»[44].
Note
^ Ecumenico, dal greco Koinè oikoumenikos,
che letteralmente significa "mondiale", ma che al tempo indicava di
fatto i territori dell'Impero Romano, conformemente alla convinzione dei Cesari
di essere governatori del mondo o "ecumene". Il termine compare per
la prima volta nel 338 nell'opera di Eusebio, Vita di Costantino Eusebius. Vita
Constantini - Greek: "σύνοδον οἰκουμενικὴν συνεκρότει" ("convocò
un concilio ecumenico"); lo stesso termine nella lettera Ad Afros Epistola
Synodica di Atanasio nel 369 CHURCH FATHERS: Ad Afros Epistola Synodica
(Athanasius), e nella lettera del 382 a papa Damaso I e ai vescovi latini del
primo Concilio di Costantinopoli-NPNF2-14. The Seven Ecumenical Councils |
Christian Classics Ethereal Library. In questo senso il Concilio di Nicea si
può intendere come il primo concilio universale di tutta la Chiesa cristiana, e
quindi occupa un posto di preminenza anche rispetto al Concilio di Gerusalemme
citato negli Atti degli Apostoli.
^
G. Gharib, E. Toniolo, Testi mariani del primo Millennio, Città Nuova, Roma,
2001
^
Secondo la tradizione, Eusebio era così vicino all'imperatore che questi
accettò di farsi battezzare da lui in punto di morte.
^
Il primo a parlare dello schiaffo ad Ario sembra sia stato Pietro de Natalibus
nel suo Catalogus sanctorum et gestorum eorum ex diversis voluminibus
collectus, Lugduni 1508 (scritto nel XIV secolo)
^
Epist. ad Afros, ii.
^
I Concilio di Nicea 325: testo - IntraText CT
^
I Concilio di Nicea 325: testo - IntraText CT
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AKKUARIA UN PONTE SULLA CULTURA DIRETTO DA VERA AMBRA
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(FR) Revue des questions historiques, xxviii. 37
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Hist. eccl., I., ix. 12; Socrate Scolastico, Hist. eccl., I., ix. 12
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sqq.
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(EN) Epifanio, The Panarion of Epiphanius of Salamis, Books II and III (Sects
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Nicene and Post-Nicene Fathers, Series II, Vol. XIV, Excursus on the Number of
the Nicene Canons in «Early Church Fathers». URL consultato l'8 maggio 2006.
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Nicene and post-Nicene Fathers, Series II, Vol. XIV, The Canons of the 318 Holy
Fathers Assembled in the City of Nice (sic), in Bithynia. in «Early Church
Fathers». URL consultato l'8 maggio 2006.
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Nonostante la conversione, Costantino venne tumulato come Gran Sacerdote
Massimo del culto del Sole Invicta.
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Edward Gibbon, Decline and Fall of the Roman Empire, trad. italiana Oscar
Storia Mondadori, 1998, p.293, ISBN 88-04-45284-6.
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(FR) 'Concili', Dizionario filosofico. Voltaire, Parigi 1694 - 1778
^
Ces questions, qui ne sont point nécessaires et qui ne viennent que d’une
oisiveté inutile, peuvent être faites pour exercer l'esprit; mais elles ne
doivent pas être portées aux oreilles du peuple.
^
Andrew Hunwick, edizione critica di Ecce Homo di Baron D'Holbach, Mouton de
Gruyter, 1995, pp. 48-49, nota 25 The Council of Nicaea (Nicea) and the Bible
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John Duffy & John Parker (ed.), The Synodicon Vetus, Washington, Dumbarton
Oaks, Center for Byzantine Studies (1979). Series: Dumbarton Oaks texts 5 /
Corpus fontium historiae Byzantinae. Series Washingtonensis 15. ISBN
0-88402-088-6
^
Sugli scritti di autori non cristiani riguardo ai cristiani nei primi due
secoli, si veda la voce Fonti storiche non cristiane su Gesù.